pubblicato giovedì 3 maggio 2007
Un
impianto espositivo volutamente disarticolato, un filo conduttore
celato ma persistente, e soprattutto l’ostinata chiusura ad ogni
lettura univoca. Sono questi gli elementi fondanti della collettiva in
corso alla galleria Ciocca. Tre giovani artisti si confrontano su un
tema complesso e affascinante: il rapporto tra casualità e
determinazione, tra forma e non-forma, tra organizzazione e caos. Gli
eventi -che si concretizzano, fisicamente, nelle opere esposte-
sembrano sparpagliarsi senza apparente connessione reciproca, negando
ogni tentativo di ordinamento stabile, ogni configurazione
predeterminata. L’ispirazione, dichiarata nel titolo e nella nota
stampa, viene da un testo di Winfrid Georg Sebald uscito nel 2001 e
intitolato, appunto,
Austerlitz, un romanzo anti-narrativo che si compone di frammenti evocativi alternati a fotografie in bianco e nero, e da
Il caso e la necessità, saggio di filosofia naturale firmato da Jacques Monod del 1971.
Su
questa base concettuale si muovono, con sicurezza ed estrema
asciuttezza formale, le opere in mostra. A partire dal lavoro di
Pierpaolo Leo (Lecce, 1973), musicista pugliese dedito da anni alla sperimentazione elettronica. L’installazione sonora
Variations II reinterpreta l’omonima (non)partitura di
John Cage
del 1961, incentrata sull’applicazione di meccanismi aleatori alla
composizione musicale. L’opera del musicista americano, noto per la sua
avanguardistica interpretazione del suono come elemento
naturale -con la conseguente espulsione di qualsiasi componente di
scelta
da parte dell’autore- viene in questo caso eseguita da un software
scritto dall’artista stesso. Il visitatore è poi invitato a contribuire
al
farsi dell’impianto sonoro tramite la pressione di sei bottoni/pedale allineati sul pavimento della galleria.
Il tema dell’indeterminazione torna prepotente nel lavoro di
Alexander Costello
(Londra, 1976), che espone due video incentrati sulla negazione della
visibilità (una serie di polaroid in cui l’immagine viene sottratta
alla vista proprio nel momento del suo svelamento) e della
progettualità (una mano tenta ripetutamente di congiungere due punti su
un foglio con linee veloci, generando configurazioni sempre differenti).
Elegante ed evocativa, infine, la proposta di
Alessandro Ambrosini
(Vicenza, 1981), che espone un’installazione e un video. Sparsi a terra
in una configurazione ancora una volta casuale, stanno 365 piccoli
fogli su cui campeggiano i volti, disegnati con un tratto rosso e naif,
di altrettanti pagliacci. Qua e là, tra i fogli, stanno posati dei nasi
da clown, che insieme al carattere infantile dei disegni, evocano
quelli utilizzati in alcune strutture ospedaliere per alleviare la
degenza dei bambini malati. Appeso al muro, in disparte, sta il foglio
numero 366. Ancora il volto di un pagliaccio, stavolta disegnato da un
vero bambino con un pennarello verde smeraldo. In sottofondo, a
intervalli irregolari, arrivano i suoni sordi di una serie di spari.
Nell’immagine video, però, solo un deserto e indefinito paesaggio
montano, sul cui cielo saettano, appena visibili, i bersagli di un
comune tiro al piattello. Ancora una volta punti, linee, e infinite
possibili combinazioni.